Siamo rimasti in tre: io e la luce fievole della mia camera da letto. Il suono indistinto dei buoni intendimenti e i ricordi di qualche settimana fa, come se il tempo corresse veloce, poi si fermasse, poi scandisse il suo incedere in maniera lentissima, imperniato su immagini felici che si arrampicano sull’albero della mia esistenza, evitando coscienziosamente i rami più deboli e stagliandosi all’orizzonte contro un cielo che ne esalta i contorni e le fattezze. Rabbia sta schiacciando un pisolino, Paura è distratto, Disgusto e Tristezza giocano a carte e invece Gioia mi guarda, ribadendo orgogliosa: «Non puoi fissarti su quello che non va bene. C’è sempre un modo per cambiare le cose, per divertirsi!».
Esattamente come quei ricordi, mi lascio attraversare dal vento, non esiste gravità e sento le membra distese, rilassate, senza alcun peso. Accetto malvolentieri quel caffè, perché so a cosa porterà. E’ come se lo avessi già preso. Inconsistente, impersonale, dissimulatore ed anche freddo per i miei gusti. Mi scopro osservato dall’alto verso il basso, in un avvicendarsi però di sguardi sorprendentemente insicuri ed aleatori. Il raziocinio più sguaiato mi rende incline a speculare sulla tipica reazione dell’antitetico gentiluomo che ogni tanto viene a far visita al mio animo e penso: «ma chi cazzo ti credi di essere?» ..poi invece, soggiogato e vinto dalle seduzioni di un’educazione cortese e progredita, mi arrendo ai dettami di quel mansueto ammaestramento che suggerisce di tirare in remi della mia rusticità in barca e desisto. «Ma in quanti siamo qui dentro?», chiedo in maniera gentile rivolgendomi a me stesso. Nessuna risposta.
Da oggi in poi chiamerò questi soggetti, quelli che abitano ai piani superiori, gli inquilini. Morbo deleterio, epidemia nociva, ragionevolmente (e fortunatamente) scansabile da chi ha cara la propria emancipazione. Ma non è detto che non ci si possa incontrare sul pianerottolo per scambiare amichevolmente due chiacchiere ogni tanto. No, niente affatto. Il problema è che la soglia della loro porta rimarrà sempre e inesorabilmente impervia ed intransitabile, almeno quanto le strade di una città come questa, alla quale son sufficienti venti minuti di pioggia per trasformarsi in un quadro di Dalì che rappresenti uno slum della periferia di città del Messico.
Il vero fascino è quello di un sorriso autentico, non quello di una maschera indolente che trascina con sé tutta l’inerzia del proprio essere. Sergente Hartman, aiutami tu… a vederli bramare freneticamente quella libertà, mi sembra di guardare un vecchio che cerca di scopare. Tzè. Ho bisogno di dormire e di sognare, come facevo da piccolo dopo ore passate a studiare, giocare, pasteggiare con la Nutella e sbucciarmi le ginocchia.
Siamo rimasti in quattro: io, il suono indistinto dei buoni intendimenti e la mia rifocillata coscienza, che attinge sostentamento da sorgenti floride ed inestinguibili. Buonanotte, inquilini. Non occorre che dimostriate di saper essere un tutt’uno con l’oscurità, qui si riesce a star svegli anche con le luci spente. E’ sempre giorno.