Certe domande, prima di incontrare una risposta, passeggiano attraverso un sentiero di riflessioni..spesso fugaci come alcune felicità mono-dose…ma a volte interminabili, come file alla motorizzazione civile.
Perché esiste il paté di fegato di cinghiale? Perché si costruisce uno stadio in centro città? Perché la solitudine deve essere necessariamente una carenza di affetti e non magari una ricerca di pace o di raccolta intimità? Perché il freddo è un cane ed il caldo é un boia? Gli alieni esistono? Perché, da queste parti, l’inclinazione di alcuni tetti – come sulle abitazioni che ho già visto in Olanda o in Austria o in Germania – è così accentuata? Forse per facilitare lo scivolamento di quella configurazione atmosferica di acqua ghiacciata cristallina che al mattino imbianca il paesaggio, facendo assomigliare ogni collina circostante ad un succulento piatto di penne alla Norma?
Ecco, uno dei sapori mediterranei dei quali sento maggiormente la mancanza è proprio quello davanti al quale Martoglio dimenticò ogni inibizione. La poesia della melanzana fritta, il solletico della ricotta salata, l’orgasmo del profumo più autentico del basilico, QUEL sugo che innumerevoli volte, in passato, mi aveva fatto rivoluzionare intere gerarchie nella confraternita delle t-shirt bianche medagliate al valore (e sapore). No! Non erano insulse macchie o semplici patacche, bensì orgogliosi trofei da esibire come la più alta delle onorificenze, prima di pagar dazio all’infallibile Dash in polvere di mamma Carmen.
La mia nuova lavabiancheria si chiama Becky. Non lo nascondo, noi due abbiamo un rapporto complicato ma stabile, cosa assai rara e preziosa di questi tempi. In appena 38 minuti, che lei definisce con ambizione “daily xpress”, mi rende un uomo felice. Se omettiamo l’effimero stress del raccogliere e stendere, direi persino che la cosa mi diverte e rilassa, senza mandarmi su di giri (800, per la cronaca…e a 30 gradi).
Indifferenziato come soltanto i cicli di lavaggio di Becky sanno essere, ecco il regime del mio palinsesto settimanale: mi sveglio, lavoro, mangio, dormo..e con una costanza ed una regolarità tali che il moto rettilineo uniforme, a confronto, me spiccia casa (trad. dal ternano: “puó occuparsi di sbrigare le faccende domestiche presso la mia dimora“). Ogni giorno sembra fottutamente uguale, come gli scaffali dei negozi quando non hai voglia di comprare un cazzo.
Peró abbiamo la cascata delle marmore.
L’aria è intrisa dei primi inequivocabili segni dell’inverno ed io mi sento pervaso da un pizzico di pungente nostalgia, ma in un battito di ciglia, mentre la luce percorre circa 60.000 km, ovvero una volta e mezza la circonferenza della terra, ricomincia un giorno nuovo.. che tra poco finirà, in un altro battito di ciglia..
L’alba di Ortigia, con il sole che faceva capolino da quell’orizzonte irraggiungibile, è un inflazionato ricordo che ritrovo surrogato soltanto sulle confezioni di alcuni prodotti del banco frigo, oppure nel reparto Specialità Regionali. È troppo poco, maledizione…è come raccogliere le briciole dal tavolo e tuffarle in un barattolo di Nutella vuoto… …vuoto??!..immaginare un quadro più triste è a dir poco illegittimo. Prendo atto di essere malinconico.
Peró abbiamo la cascata delle marmore.
Se la malinconia però è davvero uno stato di tristezza costante e, vista da un punto di vista prettamente sanitario, pródromo della depressione..allora dovrei cominciare seriamente a preoccuparmi.
E basta co’ sta cascata delle marmore.
A me in fondo interessa la sfera culturale di questa nostalgia, vista più come stato dell’anima. È vero, mi soffermo troppo spesso su elementi non positivi, osservo con superficialità quella colata di cemento che continuo a versare incoscientemente su tutto quel romanticismo…inestimabile balsamo con il quale ero solito ungermi occhi e cuore quotidianamente. | Non | riesco | a | muovermi | Esiziale esitazione la mia? Chi può dirlo, se non il mio futuro prossimo..
Buffo… ho avuto sempre una relazione conflittuale con questa forma verbale del modo indicativo…avrò, sarò, andrò, farò, verrò, sceglierò, sfottò, paraponzipò, Cointreau, Bordeaux…Mi viene male persino a pensare di utilizzarlo..ma perché? Sarà mero “disprezzo”?…magari in una forma più smussata e meno acuta? Puff! Non so nemmeno se la corretta desinenza sia un accento grave o acuto! Tutto ciò è molto grave (o molto acuto). Ad ogni modo, lo confesso: ho un forte ascendente verso il participio passato…ma ho anche un gran debole per la fluidità del presente.
Ardaje co’ sta Valnerina..e va beh..già che siamo in bagno, bagniamo: ..è vero, la maestosa immensità del mare è tutt’altro..l’acqua che precipita da quelle cascate non è salmastra..
| MA |
..l’indomita forza con la quale vien giù dal dirupo riesce gradualmente a modellare il suo percorso…rendendo l’essenza di quel luogo affascinante e misteriosa. Intorno a quel selvaggio fluire non cambia nulla…ma lì, dentro la sua anima, tutto scorre. E tutto inevitabilmente cambia. Ogni molecola passa una volta..e una volta sola.
Cambiamo noi quindi? ..oppure cambiano le nostre percezioni? Ho la sensazione di conoscere la risposta. Anzi, la conoscer-ò… eh, si…accento grave stavolta, perché in Italiano la “o” finale accentata è esattamente come una finestra quando hai bisogno di respirare:
va sempre lasciata aperta.
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Bentornato Fratè!
Leggerti è sempre un viaggio
I miss U, bro sooooo much.