Quella sera chiusi gli occhi e mi lasciai andare. Col favore di tenebre che non temevo, scelsi di chiudere fuori il mondo reale e di abbandonarmi a quelle visioni. Vidi una tana e in uno dei suoi angoli un orso timido, spelacchiato e paffuto, incapace di sognare, nonostante la sua natura invocasse in modo perpetuo il suo nome e la sua indole, tendente al letargo e ad un rapporto simbiotico e danzante con l’universo onirico che era in grado di creare. Era nel suo dna, doveva solo scoprirlo.
E sognai che sognasse un azzurro infinito e senza contorni, lo stesso azzurro delle vene che adornavano le membra della bimba che giocava coi delfini, dea di luce, libera e spensierata come se quelle nuances cobalto fossero i rami di un albero sul quale arrampicarsi e non scendere finché non avesse fatto il pieno di sorrisi alla stazione di servizio della Felicità. Quella vera. Capii di essere quel selvaggio animale in cui istinto e tenerezza si rincorrevano senza sosta, perfettamente coscienti di poter coesistere senza alcuna rivalità. Scelsi allora di continuare a tener gli occhi chiusi, per inseguire giocosamente quelle carezze intrise di gocce di schiuma vivace, quel susseguirsi di onde e di spruzzi…divertito, famelico, libero.
Ciao. Come va? Certo…fai come se fossi a casa mia. Vieni a recitare il tuo personaggio sull’infinito palcoscenico della mia anima, stupiscimi con la purezza delle tue intenzioni, abbatti i muri della ragione, guariscimi con la tua arte.
Si, continua a risalire la corrente, a nuotare, a sorridere, a meravigliarti. Fuggi da quel bagliore intermittente, irradiami con ogni tua imperfezione, aggredisci il buio camminando con passi sicuri, ma fallo a piedi nudi, attraversa il cielo come una stella cadente. Affonda le tue lame nella mia carne come se fossero indomabili saette tra nuvole inconsistenti. Squarciale come i raggi del sole sanno violare l’addomesticata oscurità. Fallo adesso, senza alcun timore e incurante d’ogni esitazione. Sono al centro dell’universo. E in ogni suo remoto angolo. Sono ovunque. E ovunque abbia voglia d’essere.
La parola delfino deriva dal greco δελφίς, delphís, utero.
Forse cambiare è come rinascere, per questo è fisicamente un paradosso…ma tra intelligenza ed immaginazione io scelgo l’immaginazione. Proprio come te.